Sebastiao Salgado in mostra a Venezia A cura di Giuseppe Cecchetti - marzo

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  Sebastiao Salgado in mostra a Venezia A cura di Giuseppe Cecchetti

Genesi” è il titolo della mostra che il grande fotografo brasiliano presenta nella “Casa dei Tre Oci” a Venezia a partire dal 1° Febbraio fino all’ 11 Maggio.
E’ un progetto a cui si è dedicato negli ultimi 8 anni girando il mondo in oltre trenta viaggi alla ricerca degli angoli non ancora contaminati dal così detto “progresso”.

“Volevo mostrare il piacere che si prova stando a contatto della bellezza della natura”. Così presenta le sue straordinarie fotografie, che vogliono essere un invito ad amare e salvaguardare il pianeta, cambiando i nostri comportamenti e ritrovando la necessaria armonia con la natura.
Una natura di cui le immagini di Salgado sottolineano la dimensione più immacolata e selvaggia. Non a caso, accanto alle fotografie di alcune popolazioni sperdute dell’Amazzonia, della Nuova Guinea, dell’Etiopia o del Nord della Siberia, la maggior parte degli scatti ritraggono animali maestosi e splendidi paesaggi: “Genesi è una lettera d’amore alla terra scritta con la macchina fotografica” spiega Salgado che compie tra poco settant’anni. In oltre quarant’anni di esplorazione fotografica è entrato a contatto con i drammi del pianeta: il lavoro,le migrazioni,le malattie ,il degrado ambientale. L’idea di “Genesi” era di andare a vedere se è vero che il 46% del mondo è ancora come alle origini, e come è.
Intervistato dal giornalista Fabio Gambaro così ha risposto alla domanda se  per un fotografo che ha sempre fotografato gli uomini e i drammi sociali è stato difficile fotografare la natura:  
_”No, in fondo è la stessa cosa, per fotografare gli uomini occorre rispettarli e comprenderli. Per la natura e gli animali mi sono mosso allo stesso modo. Durante tutti questi anni,il vero viaggio è stato dentro me stesso, per conoscere l’altro da sé occorre conoscere se stessi,il viaggio mi è servito a questo. Non volevo fotografare la natura come un antropologo o come un reporter tradizionale. Mi interessavano invece le emozioni e il piacere di un viaggio attraverso alcuni dei luoghi più belli e isolati del pianeta”.
Non a caso questi ultimi scatti sono di una dimensione “estetica” più marcata rispetto ai lavori precedenti : “ il mio linguaggio fotografico è frutto di una partecipazione spirituale che nasce dall’istinto per diventare in un secondo momento forma di comunicazione”.Alla domanda : una volta stampata,la fotografia sfugge all’intenzione del fotografo?:
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“Molto spesso è così,anche perché ciascuno di noi può leggere una foto in maniera diversa. Spesso il pubblico vede nei miei scatti dettagli che io non ho mai visto. Si appropria delle mie immagini,le fa sue. E ciò vale soprattutto per le fotografie in bianco e nero, che hanno una dimensione più partecipativa perché nelle fotografie a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero invece è come una illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda deve ricostruirla attraverso la propria memoria assimilandola poco a poco. C’è quindi una interazione molto forte tra l’immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori,che è un prodotto praticamente finito. C’è inoltre il rischio che i colori prendano il sopravvento rispetto sui soggetti che intendo mostrare,sulla dignità delle persone, sui sentimenti,sulla storia; la loro “ bellezza”rischia di cancellare tutto il resto. Nelle mie foto c’è tutta la mia vita, le mie idee, la mia etica. Oltretutto,una foto è sempre iscritta all’interno di una storia, a cui partecipo direttamente,dato che di solito trascorro molto tempo nei luoghi o con le persone che  vorrei fotografare. Dietro ogni scatto c’è questa continuità,questa partecipazione. E l’immagine deve riuscire a trasmetterle.



 
 
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