Cinema a cura di Fabrizio Albert - marzo

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Cinema a cura di Fabrizio Albert

Philomena
Regia di Stephen Frears, GranBretagna,USA,Francia 2013, Soggetto: dal libro di Martin Sixsmith “The lost child of Philomena Lee”, pubblicato nel 2009, Sceneggiatura: Steve Coogan, Jeff Pope Fotografia:Robbie  Ryan Musiche: Alexandre Desplat Interpreti: Judi Dench, Steve Coogan,Sophie Kennedy Clark, Anna Maxwell Martin, Ruth McCabe
Dopo il terribile film di Peter Mullan “Magdalene”, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2002, un altro film-documento sulle aberrazioni del cattolicesimo irlandese. La storia è vera ed è tratta dal libro di Martin Sixsmith “ The lost child of Philomena Lee “, pubblicato nel 2009. Racconta la storia di una ragazza  irlandese che nel 1952 incontra un bel giovanotto al Luna Park e, un po’ per ingenuità e superficialità, un po’ perché realmente coinvolta, si fa mettere incinta in un battibaleno. Il clima di allora non era certo tollerante e la famiglia, disonorata, la fa rinchiudere in un convento, a Roscrea, dove la ragazza espierà le sue colpe lavorando senza sosta per 4 anni, dove partorirà (oltretutto un parto podalico senza anestesia, per espiare) e potrà vedere il figlio solo un’ora al giorno fino a che quest’ultimo non verrà dato in adozione ad una famiglia americana. Una volta uscita dal convento Philomena trova un  lavoro, si sposa ed ha anche una figlia a cui tardivamente racconta la sua storia. E qui, grazie ad una serie di eventi  fortuiti, succede che la figlia incontri un giornalista dello staff di Tony Blair, licenziato e in cerca di una storia vera e appassionante da scrivere, che i due si incontrino e che si crei un legame che porterà  Philomena in America sulle tracce del figlio perduto e tardivamente cercato. La ricerca è avvincente anche per via di una serie di colpi di scena che non riveleremo e che  rendono il film quasi un giallo. A mio modo di vedere, la bellezza del film sta non solo nella sceneggiatura premiata a Venezia, ma nel rapporto tra una meravigliosa Judi Dench, la protagonista, donna semplice la cui fede non vacilla mai, nemmeno nel confronto con le terribili suore e il loro cattolicesimo punitivo, sempre pronta a distinguere il rapporto vero con il Padreterno dalle degenerazioni ecclesiastiche, e il giornalista laico, critico, scettico, giustamente indignato dalla scoperta dei segreti che man mano emergono dall’inchiesta e per la cattiveria di questo cattolicesimo gretto e meschino delle suore. Alla fine Philomena, che pure non vuole che le suore vengano in alcun modo coinvolte e punite, acconsente alla pubblicazione della sua storia e del libro, che resti ad insegnamento e memoria per le prossime generazioni. Come si diceva, Judi Dench è di una bravura eccezionale e dispiace che non abbia avuto il premio per la migliore attrice protagonista come avrebbe meritato. Ma anche Steve Coogan, il giornalista scettico e indagatore,  è molto credibile nel suo ruolo.  In totale, un film bello e appassionante, che merita di essere visto.
Venere in pelliccia
Regia: Roman Polanski Francia 2013 Soggetto: Leopold  Von Sacher-Masoch       sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski Fotografia:Pawel Edelman Musiche: Alexandre Desplat Interpreti: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric.
Thomas (Mathieu Amalric) sta facendo i provini per la  messa in scena del romanzo “Vanda” di Leopold Von Sacher-Masoch in un teatro parigino. Sta chiudendo baracca dopo una giornata di prove deludenti in cui non è riuscito a trovare la  candidata  giusta. In  quel momento entra in teatro come un ciclone Vanda , Emmanuelle Seigner, donna vistosa, volgare, irruenta che chiede assolutamente di avere una chance. Il regista, chissà perché, acconsente, sebbene molto a malincuore: secondo lui non può essere la persona giusta,  ma pian piano Vanda si rivela perfetta nel suo ruolo e nella parte, conosce il copione a memoria, sa sistemare luci e movimenti tanto da sbalordire il regista e da coinvolgerlo sempre di più, come regista e come persona. E’ chiaro da subito tuttavia che l’argomento che interessa Polanski non è tanto il testo quanto i rapporti di potere che si instaurano tra attore e regista, la lotta per il controllo della situazione, il gioco delle parti che dimostra chi è veramente dominatore e chi dominato, in una continua alternanza di ruoli fino alla soluzione finale del dramma.
Se a questo si aggiunge che Emmanuelle Seigner è in realtà la moglie di Polanski e Mathieu Amalric gli somiglia tantissimo, anche fisicamente, si capisce come Polanski in ogni film metta in gioco se stesso e il suo passato,i suoi incubi e le sue ossessioni in un continuo rapporto tra realtà  e finzione. Un  film appassionante, pur nella scabrosità dell’argomento, in cui Polanski, ancora una volta alle prese con un ambiente chiuso e claustrofobico come spesso predilige,scava nell’intimo dei personaggi  senza  pietà e dimostra di essere senza dubbio un grande regista.  
Moliére in bicicletta                
Regia: Philippe Le Guay Francia 2013 Sceneggiatura: Fabrice Luchini, Philippe Le Guay               Fotografia: Jean Claude Larrieu Musica: Jorge Arriagada     Interpreti: Fabrice Luchini,Lambert Wilson, Maya Sansa, Camille Japi.
Un  film molto intellettuale, molto francese, molto attoriale: molto bello, se si accetta tutto questo. Gauthier Valence, famoso attore  di  telefilm , decide che è ora di tornare a fare qualcosa di serio e importante e per questo pensa di coinvolgere il collega Serge Tanneur, grande attore molieriano,ritiratosi dalle scene tre anni prima, in una messa in scena del Misantropo di Molière. Tanneur, uomo intransigente che rifiuta l’ipocrisia come Alceste, deluso dalla vita e dal mestiere, all’apice della carriera si è  ritirato all’Ile de Ré, luogo esclusivo e solitario, a meditare, dipingere, borbottare. Il collega va a trovarlo e, nonostante le resistenze, lo coinvolge  nel progetto, a patto però  di alternare i ruoli di Alceste, il protagonista, e Filinte, l’amico e controparte. Naturalmente il film, oltre a coinvolgerci nella splendida recita dei versi in rima (che forse sarebbe bene ascoltare in francese), serve a mostrarci il carattere dei due personaggi, le loro scaramucce, le diatribe sulla recita e la dizione, alla fine sul ruolo dell’attore e del teatro.  La convivenza sembra pian piano avvicinare i due, con le loro gite in bicicletta, i  canali, il mare, ma…chérchez la femme! Ad un certo punto compare un  personaggio femminile, una bella italiana separata, a scompaginare le carte e, inconsciamente, a far fallire il progetto. Attori bravissimi, naturalmente, in particolare lo sdegnoso e aristocratico Luchini, che in realtà vive all’Ile de Rè e ha contribuito a scrivere le sceneggiatura. Le musiche, ben arrangiate da Jorge Arriagrada, citano anche “Il mondo” di Jimmy Fontana e “ La bicyclette” di Ives Montand in un richiamo nostalgico del bel tempo ch e fu.
Giovane e bella
Regia:François Ozon Francia 2013 Sceneggiatura: François Ozon Fotografia: Pascal Marti          Musiche: Philippe Rombi Interpreti: Marine Vacth, Charlotte Rampling, Frédéric Pierrot, Géraldine Pailhas, Nathalie Richard, Fantin Ravat, Johan Leysen
Un film che mi ha colpito molto…Presentato al festival di Cannes 2013, racconta la storia di una bella ragazza di 17 anni della buona borghesia francese, seguita in un periodo della sua adolescenza in cui scopre la sessualità e diventa adulta. Il film è diviso in 4 capitoli, 4 stagioni dall’estate all’estate successiva, sottolineati dalle belle musiche retrò di Françoise Hardy che hanno accompagnato l’adolescenza di tanti di noi. Isabelle durante l’estate decide di sbarazzarsi della verginità, con un rapporto tanto insignificante quanto insoddisfacente. Vive con il fratello minore, ragazzino curioso a cui racconta in parte le sue avventure, con la madre, con il patrigno gentile e comprensivo. Studia, ha tutto quello che le necessita, non è particolarmente consumista, non ha bisogno di nulla…Ad un dato momento, così, senza un particolare motivo, decide di prostituirsi attraverso annunci su Internet, di cambiare il nome , diventa Leà, prostituta d’alto bordo,  accettando incontri ben remunerati con maturi signori in alberghi lussuosi. Poi, torna alla vita di tutti i giorni, alla scuola ( dove si sta analizzando un poema di Arthur Rimbaud in cui si dice “nessuno è serio a 17 anni…”), alle feste con gli amici dove, tra l’altro, rifiuta le proposte di un coetaneo perché “non sta bene farlo la prima volta che ci si incontra”. Non spende i soldi che guadagna, li accumula. Ogni volta ritorna alla vita normale senza apparenti problemi, fino a che un evento drammatico che capita ad un suo cliente cui si è affezionata non porta a scoprire il tutto tra  lo sbalordimento generale. Perché lo fa, che cosa la spinge,quali sono i suoi pensieri? Riecheggiando Bunuel di “Belle de jour”,Ozon la osserva, la scruta, ma non la giudica…l’adolescenza è insondabile…Il guaio è che, mentre usciva il film, scoppiava il caso delle baby-prostitute  a Roma, come a fare da specchio nostrano alla vicenda raccontata e confermarci che si tratta di storie possibili, vere, attuali, sconcertanti…
Il capitale umano
Regia: Paolo Virzì Italia, Francia 2014 Soggetto: dal romanzo di Stephen Amidon               Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì Fotografia: Jérome Alméras                          Musiche: Carlo Virzì Interpreti: Fabrizio Gifuni, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni-Tedeschi, Valeria Golino,Luigi LoCascio, Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo.
Un thriller. Nella notte un cameriere che ha servito ad una festa in una villa brianzola prende la bici e torna a casa al buio, in una strada nel bosco, ma ahimè arriva un Suv a tutta velocità e lo travolge. Parte da qui, da una libera elaborazione del romanzo di Stephen Amidon, la storia dell’ultimo film di Paolo Virzì che, come nel famoso film di Kurosawa, “Rashomon”,   ripropone la stessa storia più volte, vista dai vari protagonisti  che disvelano diversi particolari dal loro punto di vista soggettivo, fino alla sintesi finale,tenendoci sospesi fino all’ultimo. Ma il giallo è solo la scusa per raccontarci di questa Italia contemporanea da una visuale inedita per Virzì, la Brianza di un paese inventato con la desinenza in “ate”, come tanti. Rappresenta l’incontro tra due famiglie: quella di un finanziere, Fabrizio Gifuni, con la moglie Carla, problematica, annoiata, amante del teatro,e il giovane rampollo viziato con Suv, fidanzato con la figlia dell’altra  famiglia, gli Ossola, che per questo tramite vengono in contatto. Il capofamiglia degli Ossola, Dino (Fabrizio Bentivoglio), è un piccolo imprenditore immobiliare, arrivista e ingenuo,  che tenta in tutti i modi di  entrare nelle grazie del finanziere per poter usufruire di un suo fondo con interessi stratosferici, rischiando la bancarotta. La moglie di Dino, Roberta , uno dei pochi personaggi positivi del film, assai ben interpretato da Valeria Golino,  è una psicologa seria e dolce,  impegnata nel suo lavoro e in una gravidanza  tardiva.   Serena, la figlia,la brava attrice esordiente Matilde Gioli, sembra coinvolta in questa storia suo malgrado e alla fine sceglie di prenderne le distanze e di seguire un nuovo amore problematico e intenso. Virzì si distacca per la  prima volta dal suo centro-Italia e ci descrive una Brianza algida, invernale, natalizia, disumana, forse qualcosa che ha colpito lui stesso in trasferta…


 
 
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