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Andiamo al cinema A cura di Fabrizio Albert

UN GIORNO DEVI ANDARE. (Francia, Italia 2013) Regia: Giorgio Diritti. Sceneggiatura: Giorgio Diritti. Fotografia: Roberto Cimatti. Musiche:Marco Biscarini, Daniele Furlati. Interpreti:  Jasmine Trinca, Anne Alvaro,Pia Engelberth, Sonia Gessner, Amanda Fonseca Galvao, Paulo de Sonzo, Eder Frota Dos Santos, Manuela Mendouça Marinho, Federica Fracassi.

Una breve sequenza iniziale ( una ecografia, un gran pianto della protagonista ) senza altre spiegazioni, dovrebbe dare allo spettatore la motivazione recondita di un viaggio alla ricerca di se stessa e delle ragioni profonde dell’esistenza. Dapprima vediamo la protagonista accompagnare in Brasile una suora missionaria, amica della madre, su e giù per il Rio delle Amazzoni con un barcone, a portare assistenza e aiuti alle popolazioni indigene lungo il fiume. Ma i dubbi sull’interpretazione della fede e sugli inevitabili compromessi con la realtà quotidiana, e la necessità di un  coinvolgimento più profondo la spingono a mollare questa esperienza “protetta” e ad immergersi sempre più nella realtà delle favelas, dove partecipa in prima persona alla vita del villaggio, alle feste, ai lutti, dando un’impressione di forte impegno personale, di grande coinvolgimento, anche affettivo, quasi di pacificazione con se stessa e di raggiunto equilibrio.
Sono molto belle e toccanti le immagini della vita nelle casupole malandate, con tutto ciò che accade ripreso in maniera quasi documentaristica da parte del regista. E  molto significativo è anche il paragone con la realtà, richiamata dalle telefonate alla madre, di un tranquillo convento trentino, con la neve, in cui le consorelle della suora missionaria pregano e lavorano insieme in un’atmosfera protetta, in pace. Purtroppo, però, anche la realtà delle favelas presenta contraddizioni e problemi inaccettabili da parte della protagonista mossa da una ricerca di assoluto e da una profonda insoddisfazione, per cui riparte, questa volta da sola, e si ferma su di una spiaggia lungo il fiume a riflettere, tentando di ripartire da zero. Un bambino giunge con la barca e si mette a giocare con lei, forse dandole per la prima volta lo spunto e la motivazione per una  nuova vita.  Chissà… Il terzo film di Giorgio Diritti, dopo “Il vento fa il suo giro” e “L’uomo che verrà”, non sembra così ben risolto; la problematicità dell’argomento e la diversità delle situazioni nell’ambito dello stesso film lasciano un po’ perplessi, come sospesi alla ricerca di un finale che rimane aperto e lasciato all’interpretazione dello spettatore. Forse un buon analista avrebbe affrontato e risolto il caso con meno fatica e sofferenza…

COME PIETRA PAZIENTE (Francia, Germania, Afganistan 2012) Regia: Atiq Rahimi. Sceneggiatura: Atiq Rahimi, Jean Claude Carriére.   Musiche: Max Richter   Fotografia: Thierry Arbogast Interpreti:   Golshifteh Farahani,Hamid Djaradan, Massi Mrowath, Hassina Burgan.
 
Il titolo originale del film, Synguè Sabour, fa riferimento ad una leggenda afgana, secondo la quale, se si raccontano ad una pietra tutte le proprie pene e ci si sfoga, questa, paziente, assorbe tutto e alla fine si frantuma…La storia è tratta da un libro dello stesso regista afgano e la pietra paziente è il marito della protagonista, in coma per via di una ferita al collo e accudito pazientemente dalla moglie nel bel mezzo del caos afgano, tra soldati , carri armati e bombardamenti che distruggono e devastano tutto. La protagonista è divisa tra la necessità  di accudire il marito come può, visto che un imam le ha detto che prima o poi si sveglierà, e la cura delle due figliolette che sono con lei nella casa abbandonata, senza cibo e senza soldi. Inizia piano piano a sfogarsi con il marito che non è in grado di sentire e “assorbe”  tutto, e gli racconta le storie del suo passato, i torti subiti, le umiliazioni patite, il rapporto disamorato con quest’uomo lontano e violento, incapace di affetto e di partecipazione emotiva. Vista la situazione sempre più precaria, decide di portare le figlie dalla zia, tenutaria di un bordello, e di affidarle  a lei che può garantire un minimo di tranquillità e di agio. La zia svolge il ruolo della saggia, esperta della vita e consigliera attenta, come si scoprirà in seguito, anche per i problemi affettivi della nipote e quelli legati alla gestione del concepimento e delle gravidanze, con la sapienza dei secoli che le consente di affrontare i problemi suoi e della nipote con tranquillità e filosofia. Stimolata da lei e liberata ormai dalle figlie, la protagonista ritorna dal marito e finalmente riesce a sfogarsi del tutto, rivelando segreti indicibili, in particolare nel mondo mussulmano, sui propri desideri, la propria sessualità, i tradimenti commessi, le gravidanze…Nel contempo la situazione, pur nella sua gravità  e drammaticità, la porta ad incontrare un soldatino timido e gentile, con cui può quasi pensare di ricostruirsi un futuro felice. Ma alla fine il marito si sveglia e si giunge all’epilogo drammatico, che non è il caso di rivelare…( peraltro con grande soddisfazione degli spettatori compartecipi della situazione…). Splendida attrice e splendido film, girato dal regista, cui appartiene anche la sceneggiatura, con una coscienza e una sensibilità  quasi femminile nell’indagare i meandri dell’animo muliebre e la  varietà dei sentimenti, le sfumature delle reazioni, la presa di coscienza graduale e progressiva, la scoperta quasi femminista della propria individualità e dei propri diritti di donna e di moglie. Un film che merita attenzione, assolutamente da non perdere.                                                               
                         
TRENO DI NOTTE PER LISBONA (Svizzera, Portogallo,Germania2013) Regia: Bille August. Sceneggiatura: Grey Latter, Ulrich Hermann  Fotografia: Filip Zubrunn Musica: Annette Fox. Interpreti: Jeremy Irons, Mélanie Laurent, Jack Huston, Martina Gedeck,Tom Courtenay, Bruno Ganz, Charlotte Rampling, Lena Olin.

Raimund Gregorius è un professore di latino di mezza età che vive e insegna a Berna, con la sua vita  regolata  (…e insonne…), la sua tranquillità, ma anche la sua monotonia e l’insoddisfazione che lo rendono emotivamente pronto ad accettare qualunque situazione possa servire a cambiare un po’ la sua esistenza, a dargli una nuova motivazione e quindi vitalità e speranza. L’occasione giunge inaspettata quando, sotto una pioggia scrosciante, salva dal suicidio una ragazza assai enigmatica che voleva gettarsi nel  fiume e che scompare dopo avere dimenticato il suo impermeabile rosso. Quando il professore se ne accorge, pianta in asso gli alunni e la scuola per rincorrerla, ma nel contempo trova nella tasca dell’impermeabile un  biglietto del treno per Lisbona e un libro di un certo Amadeu de Prado. Giunto in stazione, salta sul treno in partenza e, senza peraltro avere rintracciato la ragazza che comparirà solo verso la fine del film a dare le sue spiegazioni, parte per Lisbona così come si  trova, avendo iniziato a leggere questo libello con foto dell’autore, lasciandosi portare verso l’ignoto. Lo spunto del film è questo, ma evidentemente, attraverso la avvincente lettura del libro e il desiderio di ritrovarne l’autore, di rileggerne le vicende e scovare i  personaggi, il professore pensa di rimettere in discussione se stesso e la sua vita,  priva di avventure e di emozioni. Scoprendo tracce e indizi seguirà quindi la storia del giovane autore, medico associato alla resistenza portoghese contro la dittatura, dei suoi compagni di lotta, dei suoi amori, dei suoi strani rapporti con la famiglia, con i genitori e una enigmatica sorella, dei conflitti ideologici e affettivi che inevitabilmente si erano creati a causa di una bella “pasionaria”.
La storia si svolge come un giallo in cui pian piano si disvelano le situazioni e i personaggi, ma in cui anche il professore ritrova il gusto della vita in una bella Lisbona solare e rivede la propria gioventù paragonata ai coetanei che avevano scelto l’impegno e rischiato  la vita. E forse in questa nuova situazione ha inizio anche una possibile storia d’amore e di speranza: il treno di ritorno per Berna può attendere…Un bel film, nel contempo di introspezione e di azione, con dialoghi forse talvolta un po’ troppo sostenuti, ma necessari alla fine per meglio comprendere quel triste periodo storico a noi così  vicino.

VIAGGIO SOLA (Italia 2013). Regia: Maria Sole Tognazzi. Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Francesca Marciano, Maria Sole Tognazzi         Fotografia: Arnaldo Catinari. Musiche:  Gabriele Roberto        Interpreti:   Margherita Buy, Stefano Accorsi, Gian Marco Tognazzi, Fabrizia Sacchi, Alessia Barella

L’asserto del film mi era sembrato all’inizio abbastanza scontato, ma evidentemente, visto il successo che ha avuto, sottolineare e ribadire certe cose è sembrato positivo. E’ quello che hanno voluto fare i tre sceneggiatori, tutti non sposati, più o meno quarantenni, senza figli, soddisfatti della propria esistenza… La protagonista del film, Margherita Buy, si trova nella stessa situazione esistenziale della regista e dei suoi  colleghi. Lavora girando il mondo, visitando gli hotels di categoria elevata come “ospite  a sorpresa”,  controllore assai temuto,  deputato a verificare che lo standard degli alberghi si mantenga alto, secondo le regole stabilite. Svolge egregiamente il suo compito, ma questo implica la rinuncia ad una vita stabile, ad un matrimonio, ad avere figli, ad una casa che non sia solo temporaneo rifugio, a delle durature amicizie. Mantiene una relazione affettuosa con il vecchio compagno, con cui ha un rapporto ancora intenso e intimo, ma senza ulteriori coinvolgimenti. Quando è a Roma va a trovare una  sorella confusionaria con marito e figlie che amabilmente porta con se qualche volta, ma che poi riporta a casa assai volentieri. E’ sola, ma lo sa e sembra accettarlo molto bene. Così come viene mostrato positivamente l’atteggiamento del vecchio compagno che, dopo avere messo inaspettatamente incinta una ragazza, si sente emotivamente coinvolto dalla nuova situazione di possibile paternità , anche senza intraprendere la via del matrimonio; e altrettanto positiva è la scelta della ragazza, ormai non più giovanissima, che decide in tutta solitudine di tenere il figlio, senza nulla rivendicare dal fidanzato. In compenso, i due coniugi, sorella e cognato, stanno insieme da tempo senza più grandi slanci erotici e affettivi, ma accettando questa situazione con molta serenità. Solo una volta la protagonista si trova a riflettere dubbiosa sulla propria vita, dopo l’incontro casuale  con una interessante signora ecologista e giramondo, che tuttavia  muore improvvisamente lasciandola impaurita e sola…ma si riprende subito. Così come, dopo qualche tenerezza  con il vecchio compagno, sembra rimeditare la sua situazione affettiva, ma rientra presto nei ranghi. Insomma, al di là delle bellissime riprese di hotels di lusso in giro per il mondo, l’attenzione della  regista verte sulla situazione della protagonista che viene presentata come un modello di vita nuovo e positivo, senza nessun rimpianto per i ruoli perduti di moglie e madre, ma con un forte accento di libertà, indipendenza e totale autonomia. E per quello che potrà succedere nella vita in seguito, si vedrà…A me  è sembrata una cosa assai condivisibile, ma probabilmente è un modello di vita nuovo, visto ancora con sospetto dai più, che merita, tuttavia, secondo gli autori, attenzione e valorizzazione.

LA GRANDE BELLEZZA (Italia, Francia 2013) Regia: Paolo Sorrentino. Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. Fotografia: Luca  Bigazzi. Musiche: Lele  Marchitelli. Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso, Sabrina Ferilli, Pamela Villoresi, Massimo Popolizio, Galatea Renzi, Isabella Ferrari, Roberto Herlitzka, Giorgio Pasotti.

Un film visionario, immaginifico, giustamente accostato, per molti versi, ai films di Fellini, appena reduce dal festival di Cannes, apprezzato e discusso. La storia di  Jep Gambardella, scrittore e giornalista partenopeo, autore di un solo libro, “L’apparato umano”, scritto molti anni prima, al suo arrivo a Roma, e divenuto per questo famoso, è un pretesto per raccontare una certa società italica attuale, descritta quasi attraverso dei flash e delle  magnifiche immagini. Gambardella, ora giornalista, incaricato di effettuare interviste a vari personaggi per il suo giornale, è instancabile organizzatore di feste, disincantato osservatore del mondo e dei suoi  simili, alla perenne ricerca della “grande bellezza” che possa dargli la motivazione per continuare a scrivere. La Roma che il regista ci mostra, accompagnando Toni Servillo, interprete elegantissimo e smaliziato e portandoci quasi per mano, è una Roma bellissima e in parte sconosciuta, assai spesso notturna, fotografata con grande abilità da Luca Bigazzi e popolata dai personaggi più strani e inverosimili che si esprimono  (volutamente ?) con dei dialoghi frammentati, assertivi, quasi monologhi, con delle enunciazioni e riflessioni sulla vita, sull’arte, sul passato di ciascuno che il nostro protagonista sembra conoscere meglio di chiunque altro.Una riedizione della “Dolce vita” felliniana, secondo qualcuno, ma senza felicità, una sensazione diffusa di fallimento e di inutilità. Dalle  feste orgiastiche alle immagini di suorine, cardinali “gourmet”, perfino di una “santa” decrepita che si esprime a fatica, distillando la sua saggezza con brevi frasi enigmatiche, tutto sembra pervaso da una sensazione di decadenza e di morte. Il  nostro Jep è sempre organizzatore e partecipe, al centro degli eventi, commenta sarcastico, sembra svolgere la sua vita immutata negli anni  a fianco di questi personaggi, sfiorandoli e “passando oltre”, critico e superiore, sempre alla ricerca della grande bellezza. Un film affascinante dal  punto di vista delle immagini, ma forse  un po’ deludente per la sceneggiatura che lascia spesso interdetti e un po’ delusi. Forse bastavano le immagini da sole, senza troppe parole… Una serie di attori assai popolari, tra tutti Carlo Verdone in una parte  inusuale e una originale Sabrina Ferilli, fanno da spalla al grande protagonista, un Toni Servillo mattatore assoluto che ci fa da guida per i palazzi e le opere d’arte e che forse, alla fine, scriverà il suo nuovo attesissimo libro…          


 
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