Nuovo Progetto

Vai ai contenuti

Menu principale:

Pagina 4

Caravaggio A cura di Mario Villa Accettazione P.O. Rho

Eccomi qui, al santuario di Caravaggio. È la seconda volta che ci vengo. La prima con alcuni miei amici, dopo una gita a Lodi e un pranzo nelle campagne che si stendono pigre eppure laboriose tra Lodi, Cremona e la bassa bergamasca. Oggi invece sono qui da pellegrino con la mia parrocchia. Non sono quello che si dice un devoto mariano. Ma questo santuario riveste per me un significato particolare, perché è legato alle mie origini, dal momento che sorge nelle terre che hanno dato i natali ai miei genitori. Ancora una volta sono spinto al viaggio, per quanto corto, dalla ricerca disordinata delle miei radici, dei luoghi che hanno contribuito a plasmare le persone che mi hanno donato la vita. Entriamo nel cortile e dopo un breve briefing ci dirigiamo verso la grande chiesa che sorge nel vasto cortile, circondato dai portici sotto i quali un tempo dormivano i pellegrini e che ora sono il luogo ideale per consumare un pasto frugale, riposarsi o dissetarsi, operazione, quest’ultima, per la quale ci si può servire anche dell’acqua del fonte. Già, perché qui la Vergine è invocata come Nostra Signora della Fonte. Un’acqua che da molti è creduta miracolosa e risanatrice, magari non nel corpo, ma certo nello spirito.
Quello che mi colpisce è il gran numero di persone che si incontrano, prima nel cortile e poi nella chiesa, incapace a contenere tutti i pellegrini accorsi in questo primo maggio. Persone di ogni età, di ogni condizione sociale, venute qui per i più svariati motivi e che vivono in modi diversissimi l’esperienza di un pomeriggio a Caravaggio.
Ecco qui, nella fila a fianco alla mia, oltre il corridoio centrale, una ragazza insieme ai suoi genitori e a quello che mi sembra essere il fratello. Non partecipa alla recita del Rosario e continua imperterrita a masticare il suo chewing gum, annoiata; la mamma non le dice niente, non la richiama a un atteggiamento più consono al luogo. Eppure sono sicuro che la vede e che nel suo cuore prova dolore e spera che la figlia cambi. Soffre in silenzio dell’insofferenza della ragazza e prega, perché sa che anche starle troppo addosso non servirebbe a niente e che è meglio rispettare i tempi della crescita, soprattutto in quell’età difficile che sta attraversando.
Dalla porta alla mia sinistra, quella che dà sul cortile più grande del santuario, ecco entrare un papà con in braccio un frugoletto dai riccioli biondi, che sgrana gli occhi davanti a tutte quelle persone e alle pitture che ornano le pareti e le volte della chiesa. Si sa, lo stupore di fronte alle novità e alla vita tutta intera è proprio di queste creature innocenti, che si affacciano all’esistenza stando fiduciosamente in braccio ai genitori, tenuti per mano dai nonni e coccolati dagli zii. Sorride, contento di essere in un luogo così bello e agita le braccia e le gambe nell’aria, come per camminare verso le pitture e toccarle per vedere se le persone sono vere.
Tante persone attraversano la chiesa passando tra le porte che si affacciano sui due cortili, incuranti del fatto che si stia pregando, usando il luogo sacro come un corridoio, per la loro frettolosa visita, senza sostare nemmeno per un breve istante in preghiera. Sono i professionisti della domenica e dei weekend, sempre pronti ad andare dove non sono mai stati, magari solo per poter dire ai colleghi di lavoro: «Ieri sono andato a…», capaci solo di affermazioni del tipo: «Veramente bello!» oppure «Abbiamo mangiato davvero bene». Lo spirito del luogo dove si sono recati non li sfiora nemmeno e mi permetto di dubitare della loro capacità di capire l’esperienza che vivono, preoccupati solo del non dover dire: «Ieri sono rimasto a casa». Li chiamerò: i forzati della gita, del weekend, delle vacanze, dei ponti, persone sempre pronte a mettersi in colonna per ore, pur di andare in qualche luogo, non importa quale.
Ci son anche delle carrozzine posteggiate a fianco delle sedie nel corridoio centrale. Non mancano mai nei santuari mariani. Vengono a cercare conforto, magari un miracolo. Ma è tantissimo tempo che non ne avvengono qui. O forse è solo la mia poca fede che non mi consente di vederli, perché più che i corpi sono gli spiriti ad essere guariti. Ah, l’avevo già scritto all’inizio. Beh, ripeterlo non fa certo male. I malati sì sono colmi di fede, perché altrimenti non verrebbero certo qui. Chissà se offrono la loro sofferenza per il bene del mondo, come invita a fare la Chiesa.

Donare le nostre sofferenza a Gesù, perché le unisca alla sua Croce per la salvezza dell’umanità. Solo chi ha una fede davvero fondata sulla roccia del Vangelo riesce a mettere in atto questa donazione, almeno finché il dolore fisico lascia la mente abbastanza lucida e lo spirito sufficientemente forte.
Tante voci si alzano nella recita del rosario, tantissima gente partecipa alla celebrazione eucaristica.  E altrettanta parteciperà alla prossima. Molte persone, alte, basse, magre, grasse, eleganti, trasandate, casual, alla moda o assolutamente demodé.  Cerco i volti di molti, li guardo per pochi istanti, e mi chiedo: quali storie si nascondono dietro l’apparenza che vedo? È la stessa domanda che mi faccio ogni volta che a Milano prendo la metro, dove le differenze e la varietà abitano in misura smisuratamente maggiore. Miriadi di volti e di corpi mi sono passati innanzi, magari vicino, in questi miei primi cinquant’anni. Ho pregato per loro? O solo desiderato, deprecato, ammirato, scosso la testa, approvato, attuando sempre e solo il mio giudizio invece che amare ogni sconosciuto e pregare per ogni persona vista?
Anche qui, in questa casa di preghiera, troppo spesso, quasi sempre, ognuno prega per sé, per i propri cari, per la propria comunità, il proprio gruppo, la propria Chiesa. Anche qui l’egoismo e l’egocentrismo sembra farla da padrona. Eppure noi cristiani siamo ek-klesia, chiamati fuori, chiamati ad uscire da noi stessi, a rinunciare a noi stessi, a vivere la kenosi, lo svuotamento da noi stessi, per essere sempre per gli altri, in cammino verso l’altro e verso l’Altro, preoccupati della salvezza e del bene altrui, non del nostro, e del Regno. Dovremmo almeno purificare la nostra preghiera, che sia anzitutto un grazie per Colui che per ciascuno di noi è morto sulla Croce tra atroci sofferenze, per Colui che si è svuotato ed è venuto a percorrere le strade dell’uomo, sporcandosi i piedi e le mani. E sia poi preghiera per gli altri, per tutti gi altri e per quelli che sappiamo averne bisogno. E preghiera per il mondo, perché sia alla fine guarito da tutto il male che lo abita.
Torniamo e sul pullman si ride, si scherza, si raccontano aneddoti, si ricordano altre esperienze.  Cosa porterà nel profondo del cuore ognuno dei 65 partecipanti? Solo il Signore lo sa, Lui che accoglie tutti, il Misericordioso, l’Amore fatto persona.
E che Caravaggio si erga ancora come un faro nella piattezza della pianura padana.



 
Torna ai contenuti | Torna al menu