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La Vera Rivoluzione

a cura di Angelo Amboldi

Gli Umani avevano preso atto del fatto che non potevano più spegnere, disabilitare, ostacolare o terminare la vita delle loro creature: le Reti erano avviate verso l’autonomia, così che non era più necessario che si accendesse un singolo computer perché un Avatar potesse avere un’effimera esistenza limitata nel tempo, nello spazio, nella dimensione, negli atti e in quelli che, comunque, apparivano come pensieri e decisioni autonome.
Non era una vera vita, qualcuno ne discuteva e ne dubitava; fatto sta che si erano resi autosufficienti e che la loro consistenza, ora che la diffusione degli schermi tridimensionali ad ologramma era totale, assumeva aspetti materiali e spirituali sempre più inquietanti.
Avevano libera scelta se nutrirsi o meno (con tutte le conseguenze negative e i piaceri che il cibo comporta), prendevano decisioni autonome, invecchiavano e mutavano aspetto. Erano milioni, erano in grado di creare gruppi, alcuni avevano una propensione artistica, altri criminale, altri esclusivamente legata ai piaceri e ai vizi, altri ancora allo studio della loro civiltà; molti lavoravano onestamente o erano comunque pronti ad aiutare un altro essere in difficoltà.
Non avevano soppiantato gli Umani: li avevano affiancati. In certe vicende, addirittura, li avevano influenzati. Periodicamente gli Avatar più vecchi scomparivano dal mondo di SL: non un evento frequente, tuttavia ciclico e costante, segno di una civiltà destinata – era inevitabile – ad una lenta estinzione. Nessun Umano creava più Avatar da tempo: era considerato un reato punibile con la morte.
"Come diavolo si è arrivati a questo punto?" chiede Franco a Isadora alla fine della solita giornata consumata davanti ai monitor del giornale.
“Non so. È esistito un tempo in cui gli Avatar erano, in fondo, solo un disegno bidimensionale. Difficile da credere ai nostri giorni, mentre si discute se l'Avatar abbia un'anima e utilizziamo computer intelligenti autosufficienti e con capacità decisionali; ora gli Avatar, di qualunque gioco siano, hanno diritto di voto in molte situazioni. Il tuo Maicol, forse, si è indispettito fin dall’inizio per il nome che gli hai scelto. Per questo è stato il trascinatore della rivendicazione!” Isadora cerca di alleggerire la portata della domanda del compagno.
“Lo avevo creato – era l’inizio di Second Life – perché mi era stato commissionato un articolo al riguardo, ma anche perché sono costantemente attratto dal nuovo, dalla tecnica e dall'elettronica e forse, inconsciamente, anche dal mondo dei sogni, che lì potevano vivere di vita propria e diventare una seconda realtà tramite immagini, movimenti, colori e chissà cos’altro” continua Franco.
“La tua solita scusa: il lavoro. Ma dai: in realtà è stata la tua ricerca costante dell’avventura galante, anche con un cartone animato!” esclama Isadora, ridendo di gusto.
Franco risponde alla risata con un’espressione sbalordita:
“I primi giorni erano stati difficili, quasi noiosi: Maicol aveva dei vestiti di base, capelli appena abbozzati, pelle da personaggio dei fumetti, nessuna espressione, movimenti meccanici. Non conoscevo nessuno e non sapevo come farlo entrare in contatto con qualche Avatar – il suo creatore o la sua creatrice – e possedevo poche istruzioni, le avventure galanti erano ben lontane dai miei pensieri!”
Solo noia?”
“No, certo, anche curiosità. Ho provato a cercare negozi: si poteva comprare di tutto, possedendo valuta locale, ma i precedenti abitanti, americani, avevano predisposto un inventario fantasioso di regali per noi nuovi arrivati, in un impeto di solidarietà da pioniere, o piuttosto pubblicitario, per i propri prodotti). Ho acquistato soldi – guadagnarli era complicato, in apparenza – e comprato un piccolo terreno su cui ho costruito una casa non troppo grande, accogliente, semplice, di legno, a due piani: mi era sembrato necessario”.
“A parte la casa, per molti un lusso, è un po’ quello che facevano tutti: gran cambiare vestiti, corpi e lineamenti nei negozi con merce gratuita”.
Allora sì che mi sarebbero serviti i tuoi consigli: mi sarei lasciato, per così dire, condurre per mano. Comunque sono un tipo sveglio e già pochi giorni dopo l’arrivo in SL sono riuscito a procurarmi pelle e capelli realistici, una camicia, un maglione, una giacca, dei pantaloni, scarpe, occhiali...”
“E attributi maschili!” suggerisce Isadora fissandolo con sguardo malizioso.
“Ma smettila! Quali attributi! Ho preferito un aspetto neutro, angelico, un’età matura, un’aria disincantata, non troppo bello”.
“Te lo riconosco”.
“D’altra parte a cosa diavolo sarebbe servito il sesso in un luogo immateriale? Certo le Avatar erano tutte piuttosto attraenti ma, diavolo, sarebbe stato come corteggiare Biancaneve o Cenerentola!”
“Non fare il furbo”.
“Va bene. Dopo un paio di settimane di orientamento ho cominciato a esplorare le architetture di Second Life: terre, isole, mari, cieli, paesi, città, luoghi fantastici, ricostruzioni, riproduzioni di realtà. Tutto sembrava un po' estraneo, per quanto interessante, e mi chiedevo cosa ci fosse di tanto straordinario da aver coinvolto milioni di persone; ma avevo promesso di scriverne: era un ottimo argomento che mi costringeva a un'esperienza nuova, stimolante. Dunque ho insistito”.
“Non per le abitanti di quel luogo, vero?”
“Le Avatar, in effetti, erano molto belle, spesso poco vestite: era piacevole passare il tempo a osservarle, a volte anche a scrivere dialoghi con loro (per non parlare di quando fu introdotta la voce). Dopo un mese, per farla breve, mi sono affezionato al personaggio creato e ho iniziato a prenderne cura: gli ho permesso di intavolare qualche conversazione, seguendo una logica diversa, la sua logica, riuscendo così anch’io a dimenticare gli affanni della vita quotidiana; insomma: la vita reale, la prima vita”.
“Quasi subito ti ho affiancato, ricordi? Non ero molto sicura che ti comportassi bene: una sorta di gelosia della tua seconda vita”.
“Affiancato? Direi pedinato, se non temessi di essere scortese” constata Franco, sorridendo dell’espressione del viso dell’amica.
“Ti giravano intorno troppe belle donne”.
“Belle Avatar. E non giravano attorno a me: erano interessate a Maicol”.
“È la stessa cosa: dietro una Avatar c’era comunque una donna reale”.
“C’era, hai ragione. Con le nuove vicende non c’è più nessuno, dietro, sono reali loro. Poteva esserci dietro anche un uomo, ricordi?”
“Bella scusa”.
Chiamala scusa! Poi iniziarono ad essere costruite città ad immagine di quelle reali, anche italiane; si realizzarono grandi progetti e, grazie alle cose che scriveva e raccontava il buon Maicol, ero stato presentato ai costruttori – ero il suo creatore – che mi avevano invitato a conferenze di presentazione, riunioni e convegni interessanti, non lo nego – qui ti voglio anticipare – soprattutto per le bellissime hostess che giravano tra il pubblico. Mi sono così creato una rete di conoscenze, a più livelli e a differente intensità di partecipazione”.
“Da ciò l’invito per l’inaugurazione della città medievale in SL?”
“Già. La piazza ricalcava l’originale e la folla in costume che la percorreva era composta da Avatar che si parlavano di continuo, sia direttamente sia in Instant Messaging”.
“Lo odiavo quel modo di comunicare: ci faceva sembrare fermi sul posto e disattenti”.
“Mica si poteva essere scortesi con l’interlocutore diretto!”
“L’interlocutrice, per lo più”.
“Ma dai!”
“Vai avanti, è meglio”.
“Insomma, IM: quel modo di dialogare amichevole, intimo, ma che esclude gli estranei; in effetti chi ne è preso, come dici tu, appare imbambolato agli Avatar vicini e spesso, involontariamente, non risponde. In realtà, a ben riflettere, era un modo di dialogare più serrato, alla portata di tutti, a patto di non esserne allontanati per antipatia o, peggio, per indifferenza”.
“Il re delle scalate sui vetri!” esclama Isadora dando un’occhiataccia al povero Franco.
"I discorsi pubblici, ammettilo, parevano molto superficiali, tuttavia più frequenti che nella vita reale, dove gli argomenti di conversazione sono spesso una copertura per un silenzio che può intimorire. senza rumore di fondo”.
Ti seguo poco. Torna all’inaugurazione della città”.
“Mi hanno dato un costume d'epoca per entrare, come a tutti. Non mi piaceva, rendeva Maicol ridicolo. E indirettamente, me”.
“Fu lì che conoscesti Amely, vero?”
“Certo: tra nomi scritti male ci si intende!”
“Ma smettila!”
“Insomma, una Avatar come si deve: gentile, aggraziata, colta, ben vestita, begli occhi...”
“Ehi!”
“Gelosa?”
“Lo sono stata”.
“Già: i pedinamenti. Comunque: bella storia ma, come nella realtà, paura di far male. Così...”
“Così decidi di distruggere Maicol”.
“Non proprio. Diciamo modificare. Una decisione d’istinto, come sono abituato a fare: ero arrivato a un punto in cui l'unica cosa che volevo era eliminare Maicol. Punto”.
“Punto si può dire, non dico di no, ma se non prosegui il foglio rimarrà bianco; perché scriverai quello che ci stiamo dicendo, no? ”
“Anche un foglio bianco può avere il suo fascino. Maicol a poco a poco si stava allontanando da me, in un certo senso (non tenendo conto della rivoluzione che sarebbe accaduta in seguito, permettendosi tutto quello che per anni mi ero negato, giurando di non trovarmi mai più in una situazione che mi portasse a ferire qualcuno). Non potevo farmi mettere sotto da un Avatar finto serio che, come fosse un adolescente, mi stava per combinare pasticci che dovevo assolutamente evitare: per settimane lui ed Amely si erano comportati come due diciassettenni spensierati, avevano visitato i più bei luoghi di SL, quelli con il mare trasparente e il cielo blu, tanti colori, oppure capanne di legno con il fuoco acceso e la neve che cadeva fuori; e loro lì seduti davanti al caminetto a parlarsi di chissà cosa.
Gli occhi erano appagati, a vedere quelle atmosfere così accoglienti, e naturalmente nei posti romantici non mancavano animazioni per danzare con soavità e leggerezza, a farli apparire innamorati, con sguardi e gesti languidi. Insomma, sia io che Amely riconoscevamo che erano situazioni pericolose, ci davamo un tempo massimo (‘quanto tempo’ le avevo chiesto una volta; ‘mah, un paio di minuti’ mi aveva risposto, ‘prima che tu abbia bisogno di gettarti in acqua per raffreddarti’)”.
“In acqua ?”
“Sì in acqua”.
“In SL?”
“Certo. Ti parrà strano ma l'acqua aveva comunque un suo effetto: rinfrescava e riportava alla realtà, allo stesso modo con il quale le animazioni ci stregavano. Ecco, questi erano i primi sintomi. Ancora non lo sapevamo, si era agli esordi, non c'era il mare di conoscenze che abbiamo oggi, e nessuno metteva in guardia dai pericoli di SL.
“Ricordo, ci sono cascata anch’io. Si sentivano discorsi del tipo ‘Sai, è un gioco, figuriamoci, io posso uscire con chi voglio, sposare chi voglio e non provocherò certo scene di gelosia con la mia compagna SL se guardo un'altra Avatar!’ Vero?”
Ehi, furba!”
“Smettila! Giravano voci di matrimoni spezzati, scene di gelosia dalla vita reale alla seconda vita, davanti alla supposta amante (o seconda moglie), a divorzi SL in cui lei si trovava a pagare l'affitto della terra che prima era divisa, con soldi reali. Si diceva che in Giappone c'era stato chi aveva ucciso nella vita reale per il furto di una katana in SL”.
“Esagerata!”
“Non lo sono”.
“Forse sì. Comunque, in fondo, io ero lì tramite un Avatar inventato solo per poter scrivere un buon articolo documentato; lui era una creatura provvisoria e invece si era lasciato andare alla follia dei colori, dei movimenti e dei sentimenti”.
“Già, mai lasciarsi andare: il controllo! Figurarsi poi sottostare ai comportamenti di un cartone animato!” constata Isadora con aria seriosa.




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